La forma del cerchio ha molteplici significati
simbolici.
Un Cerchio è formato da una linea unica le cui
estremità si ricongiungono per fondersi l’una nell’altra. Rappresenta
ciò che non ha interruzione, cesura, inizio e fine. Sprovvisto
di lati e angoli, simboleggia l’armonia
e l’assenza di opposizioni. Nella circonferenza
non è possibile distinguere il principio dalla fine. La
circonferenza segna
anche il confine tra la superficie interna definita e quella esterna infinita. Il
movimento circolare, come quello astrale, è perfetto, immutabile, senza inizio
o fine né variazione e ciò fa si che esso possa rappresentare l'eternità del
tempo.
Il simbolismo del Cerchio è strettamente legato a quello del
centro, in
relazione all’unità primordiale. È il luogo sacro dove si concentrano tutte le
energie materiali e spirituali. Di questa circonferenza, i quattro elementi sono i raggi. Il
centro è il punto dal quale i raggi si dipartono, ma anche al quale convergono, simbolo quindi del Principio
Universale da cui tutto trae origine e a cui tutto ritorna. Presso i popoli
primitivi la circonferenza
con il punto centrale è ancora la raffigurazione del Sole, i cui raggi
caldi e luminosi in tutte le culture di
ogni epoca sono associati alla bellezza, alla verità e alla stessa
sopravvivenza dell'esistente.
L'uso di
circoscrivere cerchi magici per separare tempi e attività
"straordinarie" dalla realtà ordinaria ha origini antichissime,
che risalgono all'antica cultura babilonese. I Cerchi magici venivano usati dai
maghi nelle cerimonie per proteggersi dalle forze evocate. Anche
nello sciamanesimo e nel mondo celtico, il cerchio simbolizza un limite magico
invalicabile alle entità malefiche. La protezione circolare è stata
inoltre usata architettonicamente
intorno alle città, ai templi, ai castelli e alle tombe, per impedire ai
nemici, alle anime vaganti e ai demoni di entrarvi.
La stessa simbologia si ritrova tra i nativi
americani, dove il punto al centro del cerchio rappresenta il simbolo del Sole:
il cerchio è una estensione del punto e
partecipa della sua perfezione, dal centro del cerchio tutti i raggi che si
dipartono godono dell'unità e un solo punto contiene in sè tutte le espansioni delle linee possibili in
rapporto al principio unico dal quale derivano.
"Ogni aspetto
del Potere nel mondo si manifesta in cerchio.
Il cielo è rotondo, e la terra è rotonda come una palla, e così pure le stelle
Il vento, nel
manifestare il suo potere più grande, crea un vortice.Il cielo è rotondo, e la terra è rotonda come una palla, e così pure le stelle
Gli uccelli fanno i loro nidi rotondi.
Il sole si mostra e scompare con una traiettoria circolare
Lo stesso fa la luna ed entrambi sono rotondi.
Persino le stagioni formano un grande cerchio nel loro avvicendarsi.
E di nuovo ritornano sempre da dove sono venuti.
La vita degli esseri umani è un cerchio da fanciullezza a vecchiaia,
E lo stesso si manifesta in ogni cosa in cui si muove il potere.”
Alce Nero

“Il simbolo
del cerchio, si manifesti nel culto solare dei primitivi o nelle religioni
moderne, nei miti o nei sogni, nei motivi mandala dei monaci tibetani, nei
piani astronomici, indica sempre l’aspetto essenziale della vita, la
sua complessiva e definitiva globalità”. Carl Gustav Jung
L’Uroboro (dal greco οὐροβόρος, dove οὐρά,
urà, sta per “coda” e βορός, boròs, sta per “mordace”, aggettivo riferito al
serpente) è l’immagine di un serpente che si morde la coda e la inghiotte.
Questa diffusissima figura simbolica rappresenta, sotto forma animalesca,
l’immagine del cerchio personificante l’ eterno ritorno. Esso sta ad indicare
l’esistenza di un nuovo inizio che avviene tempestivamente dopo ogni fine. In
simbologia, infatti, il cerchio è anche associato all’immagine del serpente che
da sempre cambia pelle e quindi, in un certo senso, ringiovanisce. L’Uroboro
rappresenta il circolo, la metafora espressiva di una riproduzione ciclica,
come la morte e la rinascita, la fine del mondo e la creazione.
L’Uroboro (dal greco οὐροβόρος, dove οὐρά,
urà, sta per “coda” e βορός, boròs, sta per “mordace”, aggettivo riferito al
serpente) è l’immagine di un serpente che si morde la coda e la inghiotte.
Questa diffusissima figura simbolica rappresenta, sotto forma animalesca,
l’immagine del cerchio personificante l’ eterno ritorno. Esso sta ad indicare
l’esistenza di un nuovo inizio che avviene tempestivamente dopo ogni fine. In
simbologia, infatti, il cerchio è anche associato all’immagine del serpente che
da sempre cambia pelle e quindi, in un certo senso, ringiovanisce. L’Uroboro
rappresenta il circolo, la metafora espressiva di una riproduzione ciclica,
come la morte e la rinascita, la fine del mondo e la creazione.
Nell'antica
alchimia Il “Serpens qui caudam devorat”, talvolta è raffigurato metà bianco e
metà nero, cioè come lo Yin e lo Yang, simboli della tradizione del Taoismo
cinese, che riportano alla conflittualità degli opposti ed al loro reciproco
interagire. Le due componenti della Materia, maschile e femminile, rappresentate
rispettivamente in alchimia dallo Zolfo e dal Mercurio, nella rappresentazione
delle nozze alchemiche, realizzano quel “Filius philosophorum”,
l’Androgino, come prodotto dei due principi, o cosa doppia (Rebis).
L’Uroboro è un simbolo dell’evoluzione che si
conclude in sé stessa, e quindi dell’unità fondamentale del cosmo. Il motto “En
to pan”, in Uno il Tutto, che accompagna spesso l’immagine, rimanda al
concetto che nell'universo “tutto si trasforma, niente si crea e niente si distrugge”.
La frase rinvia al concetto di un tempo ciclico e circolare, dell’Eterno
ritorno, caposaldo della filosofia di Nietzsche: “Imprimere al divenire il
carattere dell’essere, è questa la suprema volontà di potenza. Che tutto
ritorni, è l’estremo avvicinamento del mondo del divenire a quello dell’essere:
culmine della contemplazione.”
Dal senso nichilistico dell’affermazione di
Nietzsche: “In
un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi
infinite volte”, l’immagine alchemica dell’eterno ritorno prevede
però la possibilità di “digerire” le scorie del passato, la "nigredo"
che rallenta o impedisce il
rinnovamento, e modificare i costrutti del futuro, attraverso l’immanenza di un presente “circolarizzato” ma
prospettico, diretto verso il futuro. Direzione data proprio dall’agire
dell’uomo e dalla possibilita’ dello stesso, attraverso quella partecipazione
“attiva” alla congiunzione delle sue nature, di compiere quel terzo
prodotto (tertium non datur), che, attraverso l’eterno rinnovamento del ciclo, imprime
però allo stesso quello che forse è il vero senso “compiuto” della Natura, cioè
la sua evoluzione.
Ouroboros
Dal
“Dizionario dei Simboli in Certosa” di Gian Marco Vidor:
“La
più antica descrizione di questo simbolo è contenuta negli Hieroglyphica,
unica trattazione sistematica sui geroglifici egiziani giunta dall’antichità.
Essa arrivò in Europa nel 1422, grazie ad un manoscritto portato a Firenze
dall’isola di Andros dal viaggiatore fiorentino Cristoforo Buondelmonti. Opera
redatta in greco, gli Hieroglyphica videro la luce probabilmente negli ultimi
ambienti pagani dell’Egitto del V secolo d.C., quando ormai la civiltà egizia
era ormai scomparsa e con essa la comprensione del suo sistema di scrittura.
Caratteristica del testo è infatti quella di dare un’interpretazione puramente
simbolica a segni il cui significato era da secoli avvolto dal mistero. L’opera
è generalmente attribuita ad Orapollo che diresse una delle ultime scuole
pagane, quella di Menouthis, presso Alessandria. Secondo l’autore l’ouroboros
è uno dei modi che gli egiziani hanno di rappresentare l’eternità: “Per
indicare l’eternità (gli Egiziani) rappresentano il sole e la luna: essi sono
infatti elementi eterni. Quando vogliono invece esprimere diversamente
l’eternità, raffigurano un serpente con la coda nascosta sotto il resto del
corpo, chiamato ureo in egiziano, basilisco in greco […]”. Nell’antico Egitto,
l’ouroboros può rappresentare il serpente primordiale, detto Sata che circonda
il mondo proteggendolo dai nemici cosmici. Così
recita il Libro dei Morti:
“Io sono Sata, allungato dagli anni, io muoio e rinasco ogni giorno,
“Io sono Sata, allungato dagli anni, io muoio e rinasco ogni giorno,
Io sono
Sata che abito nelle più remote regioni del mondo"
Questo serpente rappresenta il tempo che si riproduce perpetuamente. Racchiude in sé l’idea di movimento, di continuità, di autofecondazione e di conseguenza di eterno ritorno. Nato iconograficamente dalla cultura egiziana, il serpente che divora la propria coda diviene ben presto simbolo esoterico molto frequente nel mondo antico. La fortuna iconografica e concettuale dell’ouroboros sarà rinvigorita dal neoplatonismo e nell’arte europea, soprattutto in Italia, sarà usato dalla pittura rinascimentale fino alla scultura funeraria del XIX secolo. Nella produzione artistica funeraria questo particolare serpente è spesso associato con altri simboli indicanti l’eternità, come la sfera alata, o con altri indicanti il passaggio, il cambiamento di stato, come la farfalla. "
L'uroboro non è sempre
rappresentato come un serpente, nelle sue varie metamorfosi lo si può incontrare come un rettile con zampe
e orecchie, altre volte come un gallo mostruoso, come un drago, oppure può
anche non avere forme animali, può essere un cerchio astratto, gli “enso” della
tradizione zen ne sono la perfetta manifestazione dell’estremo oriente.
Il Mandala
“ … Il Mandala è un archetipo
molto importante. E’ l’archetipo dell’ordine interiore ed esprime il fatto che
esiste un centro ed una periferia, che cerca di abbracciare il tutto. E’ il
simbolo della totalità. Perciò, durante una terapia, quando nella psiche del
paziente c’è grande disordine e caos, questo simbolo può apparire sotto forma
di Mandala i sogno, o nelle fantasie o nei disegni liberi. Il Mandala compare
spontaneamente come archetipo compensatorio, portando ordine, mostrando la
possibilità dell’ordine…. “ Carl Gustav Jung
Per capire davvero il senso del mandala tibetano non
si può prescindere dal vederlo formarsi ad opera dei monaci buddisti che, tramite
cannucce dorate, fanno cadere negli spazi precedentemente disegnati,la sabbia colorata che comporrà l’immagine finale. La
sabbia scende grazie al perfetto, ripetitivo movimento della mano del monaco,
che fa vibrare la cannuccia conica causandone la fuoriuscita. Le cannucce sono
di diverse dimensioni, per fare segni più o meno sottili, come i pennelli di un
pittore o i pennini di un calligrafo. Per completare un mandala occorrono molti giorni, durante i
quali il rumore dello sfregamento sulle cannucce, unitamente alla ripetizione
dei mantra, caratterizza la meditazione. Inevitabilmente, qualsiasi siano la sua bellezza e dimensioni , il màndala sarà
distrutto con una cerimonia finale, la sabbia rimescolata e gettata in un corso
d’acqua: una lezione per tutti noi occidentali, così attaccati ai risultati
delle nostre azioni e sforzi.
Jung riteneva che i Mandala fossero la proiezione di una forma appartenente
alla psiche profonda, che fossero degli “archetipi" e li definì
"psicocosmogrammi". Ricordiamo
che gli archetipi, per Jung, sono la memoria dell’umanità che permane
nell’inconscio collettivo, comune a tutti i popoli, senza distinzione di tempi,
luoghi e culture.
Disegnando, sognando o semplicemente visualizzando un mandala, la
mente con le sue rimuginazioni ossessive può finalmente disciplinarsi ed assumere
nuove prospettive, mentre la psiche può intuire il Sè trascendente la finitezza
dell' Io contingente.
L’immagine nasce dal centro e intorno ad esso si espande, nello
spazio circoscritto e protetto del cerchio, stabilendo un confine fra interno
ed esterno, fino a raggiungere il “centro" e l'essenza della psiche
profonda.
Il mandala per Jung ha tre funzioni : consolidare l’ordine
psichico se già esistente, ristabilirlo nel caso fosse disperso o dissolto,
dare espressione psichica a contenuti inconsci ancora inconsapevoli.
Molto dipende dalla forma del mandala, dalla sua simmetria e
geometria, dal simbolismo delle figure incluse, tese a creare un sentimento di
equilibrio e di ordine oppure rappresentare quello che potrebbe emergere nel
prossimo futuro, indicando la direzione da seguire per sviluppare le
potenzialità, per com-prendere i problemi e trovare le soluzioni più efficaci.
Nei
sogni e successivi disegni dei suoi pazienti, Jung rileva forme spontanee equivalenti del mandala, che
sarebbe un'espressione simbolica dell’inconscio. I mandala onirici appaiono
spesso in concomitanza con stati psichici di disorientamento e conflittualità.
In questi casi il mandala appare come un mezzo terapeutico che si manifesta
allo scopo di ridurre lo stato dissociativo, configurandosi come un archetipo
dell'ordine e dell'integrazione di contenuti psichici conflittuali. In pratica
il Mandala esprime simbolicamente il conflitto degli opposti e la loro
riconciliazione resa possibile dall’emergere del Sé e può considerarsi un canale
attraverso il quale si esprime una realtà universale il cui contatto, sebbene
mediato simbolicamente, favorisce un’esperienza trasformativa della coscienza.









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