sabato 11 febbraio 2017


                                Il concetto di "flessibilità psicologica" in un "talk" di Steven Hayes


martedì 24 gennaio 2017

Che cos'è la "Mindfulness"


Mindfulness     
" Strana pratica quella della meditazione
diciamo che 'a prima vorta te senti un pò fregnone
Te dicono da chiude l'occhi e fissà l'orizzonte
cor terzo occhio che te spunta su la fronte
Manco finisco de dì all'insegnante: "che dici?"
che comincia a ripete' che da sotto li piedi escono radici
E io provando un pò de paura e de sgomento
stacco subito li piedi dar pavimento
E si perchè io da  'a vita de paura ce n'ho tanta
figuramose se so' venuto qui pè diventà 'na pianta
Ma quanno ho visto che l'uno all'altro stamo accanto
magicamente pianta diventa er femminile de' pianto
Allora la razionalità cerca subito strane fughe
ma ormai le lacrime sur viso seguono la mappa delle rughe
Te stacchi dar cervello pe' buttà fori 'a rabbia
che'ntorno ar core j'ha costruito 'na segreta gabbia
Finalmente capisco che pe' migliorà ciò che sono
bisogna concede ar nemico er perdono
Perchè la rabbia è come l'acqua der fiume in piena
se la lasci score er core se rasserena"
Diego Mascona


Di recente e in un periodo di tempo assai breve, le pratiche di mindfulness hanno visto una larghissima diffusione mediatica. Se ciò è stato per molti aspetti positivo, ha anche causato eccessive semplificazioni nella divulgazione di quelli che sono veri e propri protocolli psicoterapeutici o comunque impegnativi programmi di miglioramento di sè, oltre che l'espressione di una "filosofia di vita". I termini "mindfulness" e "meditazione" sono infatti spesso usati inappropriatamente come sinonimi. La meditazione nei programmi di mindfulness descrive una pratica introspettiva attraverso la quale possiamo diventare consapevoli dei nostri processi mentali e del loro continuo fluire. Nel suo libro "La felicità", Matthieu Ricard, un ex biologo francese divenuto monaco in Tibet , spiega che la parola "meditazione" nella lingua tibetana significa "familiarizzazione" , ovvero "familiarizzare con una nuova visione delle cose, un nuovo modo di gestire pensieri, di percepire le persone e vivere il mondo. "
Il termine " mindfulness" vuol dire letteralmente "presenza mentale" o "consapevolezza" , intesa come un atteggiamento di attenzione fluida e non forzata in cui notiamo " dove sono" i nostri pensieri, stati d'animo, emozioni in tempo reale, momento per momento, senza cercare di contrastarli o giudicarli.
Gli esercizi ci insegnano a riconoscere i pensieri e i giudizi che la nostra mente produce costantemente e a ritornare gentilmente alla consapevolezza della nostra esperienza del momento. Praticando la mindfulness apprendiamo a disidentificarci dai contenuti mentali, che sono soltanto esperienze interne passeggere. Come afferma John Kabat-Zinn (1990), "i pensieri sono solamente pensieri, non rappresentano la realtà". "Noi non siamo i nostri pensieri" che sono semplici eventi mentali transitori, indipendentemente dal loro contenuto e dalla carica emotiva che esprimono..
Grazie alle abilità di mindfulness portiamo quindi alla coscienza le nostre esperienze interne e, in questo modo, incrementiamo la disponibilità (la cosiddetta “willingness” nella terminologia act, Hayes et al., 1999) della nostra mente ad accettarle per quello che sono, così come emergono spontaneamente.
Un aumento della consapevolezza produce e rinforza risposte comportamentali agli accadimenti interni ed esterni più flessibili, efficaci e guidate da obiettivi e valori personali.


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mercoledì 11 gennaio 2017

Il cerchio di pratica mindfulness



Un tempo ci si riuniva in circolo per discutere,giocare a carte, condividere le decisioni importanti per la  comunità. Riunirsi nella configurazione del cerchio vuol dire che non ci sono capi o gerarchie, ma ciascuno è chiamato con la propria individualità a dare un contributo; tutti possono guardarsi negli occhi, tutti hanno la medesima importanza. Nel gruppo di pratica mindfulness una candela accesa o un oggetto che rappresenti simbolicamente il tema principale dell'incontro, posizionati al centro del cerchio dei partecipanti, facilitano un'attenzione concentrata e accrescono il senso di appartenenza, la consapevolezza del fatto che "you are like me". Il cerchio di pratica mindfulness è un momento di incontro  fra persone che hanno intrapreso un percorso di conoscenza e miglioramento, in cui  condividere e confrontare stati d'animo, esperienze, emozioni. Praticare seduti in circolo  facilita lo sviluppo delle relazioni con gli altri partecipanti, consentendo un più attento ascolto, nell' accoglienza e accettazione delle diverse modalità di espressione. Riconoscersi e rispecchiarsi nel "sentire"  e nelle vicende dell'altro con empatia, gentilezza (kindness) e compassione (compassion) ci aiuta a ricordare  che , se  "dall'uno deriva il molteplice, che all'uno ritorna",  SIAMO TUTTI UNO.Fine modulo

martedì 10 gennaio 2017

Il cerchio


La forma del cerchio ha molteplici significati simbolici.

Un Cerchio è formato da una linea unica le cui estremità si ricongiungono per fondersi  l’una nell’altra. Rappresenta ciò che non ha interruzione, cesura, inizio e fine. Sprovvisto di lati e angoli,  simboleggia l’armonia e l’assenza di opposizioni. Nella circonferenza non è possibile distinguere il principio dalla fine. La circonferenza segna anche il confine tra la superficie interna definita e quella esterna infinita. Il movimento circolare, come quello astrale, è perfetto, immutabile, senza inizio o fine né variazione e ciò fa si che esso possa rappresentare l'eternità del tempo.

Il simbolismo del Cerchio è strettamente legato a quello del centro, in relazione all’unità primordiale. È il luogo sacro dove si concentrano tutte le energie materiali e spirituali. Di questa circonferenza, i quattro elementi sono i raggi. Il centro è il punto dal quale i raggi si dipartono, ma anche al quale  convergono, simbolo quindi del Principio Universale da cui tutto trae origine e a cui tutto ritorna. Presso i popoli primitivi la circonferenza con il punto centrale è ancora la raffigurazione del Sole, i cui raggi caldi e luminosi  in tutte le culture di ogni epoca sono associati alla bellezza, alla verità e alla stessa sopravvivenza dell'esistente.

 L'uso di circoscrivere cerchi magici per separare tempi e attività "straordinarie" dalla realtà ordinaria ha origini antichissime, che risalgono all'antica cultura babilonese. I Cerchi magici venivano usati dai maghi nelle cerimonie per proteggersi dalle forze evocate. Anche nello sciamanesimo e nel mondo celtico, il cerchio  simbolizza un limite magico invalicabile alle entità malefiche. La protezione circolare è stata inoltre  usata architettonicamente intorno alle città, ai templi, ai castelli e alle tombe, per impedire ai nemici, alle anime vaganti e ai demoni di entrarvi.

La stessa simbologia si ritrova tra i nativi americani, dove il punto al centro del cerchio rappresenta il simbolo del Sole:  il cerchio è una estensione del punto e partecipa della sua perfezione, dal centro del cerchio tutti i raggi che si dipartono godono dell'unità e un solo punto contiene in sè  tutte le espansioni delle linee possibili in rapporto al principio unico dal quale derivano.

"Ogni aspetto del Potere nel mondo si manifesta in cerchio.
Il cielo è rotondo, e la terra è rotonda come una palla, e così pure le stelle
Il vento, nel manifestare il suo potere più grande, crea un vortice.
Gli uccelli fanno i loro nidi rotondi.
Il sole si mostra e scompare con una traiettoria circolare
Lo stesso fa la luna ed entrambi sono rotondi.
Persino le stagioni formano un grande cerchio nel loro avvicendarsi.
E di nuovo ritornano sempre da dove sono venuti.
La vita degli esseri umani è un cerchio da fanciullezza a
  vecchiaia,
E lo stesso si manifesta in ogni cosa in cui si muove il potere.”


Alce Nero

PUBBLICI
 Il simbolo del cerchio, si manifesti nel culto solare dei primitivi o nelle religioni moderne, nei miti o nei sogni, nei motivi mandala dei monaci tibetani, nei piani astronomici, indica sempre l’aspetto essenziale della vita, la sua complessiva e definitiva globalità”. Carl Gustav Jung

L’Uroboro (dal greco οὐροβόρος, dove οὐρά, urà, sta per “coda” e βορός, boròs, sta per “mordace”, aggettivo riferito al serpente) è l’immagine di un serpente che si morde la coda e la inghiotte. Questa diffusissima figura simbolica rappresenta, sotto forma animalesca, l’immagine del cerchio personificante l’ eterno ritorno. Esso sta ad indicare l’esistenza di un nuovo inizio che avviene tempestivamente dopo ogni fine. In simbologia, infatti, il cerchio è anche associato all’immagine del serpente che da sempre cambia pelle e quindi, in un certo senso, ringiovanisce. L’Uroboro rappresenta il circolo, la metafora espressiva di una riproduzione ciclica, come la morte e la rinascita, la fine del mondo e la creazione.
L’Uroboro (dal greco οὐροβόρος, dove οὐρά, urà, sta per “coda” e βορός, boròs, sta per “mordace”, aggettivo riferito al serpente) è l’immagine di un serpente che si morde la coda e la inghiotte. Questa diffusissima figura simbolica rappresenta, sotto forma animalesca, l’immagine del cerchio personificante l’ eterno ritorno. Esso sta ad indicare l’esistenza di un nuovo inizio che avviene tempestivamente dopo ogni fine. In simbologia, infatti, il cerchio è anche associato all’immagine del serpente che da sempre cambia pelle e quindi, in un certo senso, ringiovanisce. L’Uroboro rappresenta il circolo, la metafora espressiva di una riproduzione ciclica, come la morte e la rinascita, la fine del mondo e la creazione.
 Nell'antica alchimia Il “Serpens qui caudam devorat”, talvolta è raffigurato metà bianco e metà nero, cioè come lo Yin e lo Yang, simboli della tradizione del Taoismo cinese, che riportano alla conflittualità degli opposti ed al loro reciproco interagire. Le due componenti della Materia, maschile e femminile, rappresentate rispettivamente in alchimia dallo Zolfo e dal Mercurio, nella rappresentazione delle nozze alchemiche, realizzano quel “Filius philosophorum”, l’Androgino, come prodotto dei due principi, o cosa doppia (Rebis).
L’Uroboro è un simbolo dell’evoluzione che si conclude in sé stessa, e quindi dell’unità fondamentale del cosmo. Il motto “En to pan”, in Uno il Tutto, che accompagna spesso l’immagine, rimanda al concetto che nell'universo “tutto si trasforma, niente si crea e niente si distrugge”. La frase rinvia al concetto di un tempo ciclico e circolare, dell’Eterno ritorno, caposaldo della filosofia di Nietzsche: “Imprimere al divenire il carattere dell’essere, è questa la suprema volontà di potenza. Che tutto ritorni, è l’estremo avvicinamento del mondo del divenire a quello dell’essere: culmine della contemplazione.”
Dal senso nichilistico dell’affermazione di Nietzsche: “In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte”, l’immagine alchemica dell’eterno ritorno prevede però la possibilità di “digerire” le scorie del passato, la  "nigredo" che  rallenta o impedisce il rinnovamento, e modificare i costrutti del futuro, attraverso  l’immanenza di un presente “circolarizzato” ma prospettico, diretto verso il futuro. Direzione data proprio dall’agire dell’uomo e dalla possibilita’ dello stesso, attraverso quella partecipazione “attiva” alla congiunzione delle sue nature, di compiere quel terzo prodotto (tertium non datur), che, attraverso l’eterno rinnovamento del ciclo, imprime però allo stesso quello che forse è il vero senso “compiuto” della Natura, cioè la sua evoluzione.
Ouroboros
Dal “Dizionario dei Simboli in Certosa” di Gian Marco Vidor:
“La più antica descrizione di questo simbolo è contenuta negli Hieroglyphica, unica trattazione sistematica sui geroglifici egiziani giunta dall’antichità. Essa arrivò in Europa nel 1422, grazie ad un manoscritto portato a Firenze dall’isola di Andros dal viaggiatore fiorentino Cristoforo Buondelmonti. Opera redatta in greco, gli Hieroglyphica videro la luce probabilmente negli ultimi ambienti pagani dell’Egitto del V secolo d.C., quando ormai la civiltà egizia era ormai scomparsa e con essa la comprensione del suo sistema di scrittura. Caratteristica del testo è infatti quella di dare un’interpretazione puramente simbolica a segni il cui significato era da secoli avvolto dal mistero. L’opera è generalmente attribuita ad Orapollo che diresse una delle ultime scuole pagane, quella di Menouthis, presso Alessandria. Secondo l’autore l’ouroboros è uno dei modi che gli egiziani hanno di rappresentare l’eternità: “Per indicare l’eternità (gli Egiziani) rappresentano il sole e la luna: essi sono infatti elementi eterni. Quando vogliono invece esprimere diversamente l’eternità, raffigurano un serpente con la coda nascosta sotto il resto del corpo, chiamato ureo in egiziano, basilisco in greco […]”. Nell’antico Egitto, l’ouroboros può rappresentare il serpente primordiale, detto Sata che circonda il mondo proteggendolo dai nemici cosmici. Così recita il Libro dei Morti:
“Io sono Sata, allungato dagli anni, io muoio e rinasco ogni giorno,
Io sono Sata che abito nelle più remote regioni del mondo"

Questo serpente rappresenta il tempo che si riproduce perpetuamente. Racchiude in sé l’idea di movimento, di continuità, di autofecondazione e di conseguenza di eterno ritorno. Nato iconograficamente dalla cultura egiziana, il serpente che divora la propria coda diviene ben presto simbolo esoterico molto frequente nel mondo antico. La fortuna iconografica e concettuale dell’ouroboros sarà rinvigorita dal neoplatonismo e nell’arte europea, soprattutto in Italia, sarà usato dalla pittura rinascimentale fino alla scultura funeraria del XIX secolo. Nella produzione artistica funeraria questo particolare serpente è spesso associato con altri simboli indicanti l’eternità, come la sfera alata, o con altri indicanti il passaggio, il cambiamento di stato, come la farfalla. "


 L'uroboro non è sempre rappresentato come un serpente, nelle sue varie metamorfosi  lo si può incontrare come un rettile con zampe e orecchie, altre volte come un gallo mostruoso, come un drago, oppure può anche non avere forme animali, può essere un cerchio astratto, gli “enso” della tradizione zen ne sono la perfetta manifestazione dell’estremo oriente.

Il Mandala
“ … Il Mandala è un archetipo molto importante. E’ l’archetipo dell’ordine interiore ed esprime il fatto che esiste un centro ed una periferia, che cerca di abbracciare il tutto. E’ il simbolo della totalità. Perciò, durante una terapia, quando nella psiche del paziente c’è grande disordine e caos, questo simbolo può apparire sotto forma di Mandala i sogno, o nelle fantasie o nei disegni liberi. Il Mandala compare spontaneamente come archetipo compensatorio, portando ordine, mostrando la possibilità dell’ordine…. “ Carl Gustav Jung
Per capire davvero il senso del mandala tibetano non si può prescindere dal vederlo formarsi ad opera dei monaci buddisti che, tramite cannucce dorate, fanno cadere negli spazi precedentemente disegnati,la sabbia  colorata che comporrà l’immagine finale. La sabbia scende grazie al perfetto, ripetitivo movimento della mano del monaco, che fa vibrare la cannuccia conica causandone la fuoriuscita. Le cannucce sono di diverse dimensioni, per fare segni più o meno sottili, come i pennelli di un pittore o i pennini di un calligrafo. Per completare un mandala occorrono molti giorni, durante i quali il rumore dello sfregamento sulle cannucce, unitamente alla ripetizione dei mantra, caratterizza la meditazione. Inevitabilmente, qualsiasi siano la  sua bellezza e dimensioni , il màndala sarà distrutto con una cerimonia finale, la sabbia rimescolata e gettata in un corso d’acqua: una lezione per tutti noi occidentali, così attaccati ai risultati delle nostre azioni e sforzi.

Jung riteneva che i Mandala fossero la proiezione di una forma appartenente alla psiche profonda, che fossero degli “archetipi" e li definì "psicocosmogrammi".  Ricordiamo che gli archetipi, per Jung,  sono la memoria dell’umanità che permane nell’inconscio collettivo, comune a tutti i popoli, senza distinzione di tempi, luoghi e culture.

Disegnando, sognando o semplicemente visualizzando un mandala, la mente con le sue rimuginazioni ossessive può finalmente disciplinarsi ed assumere nuove prospettive, mentre la psiche può intuire il Sè trascendente la finitezza dell' Io contingente.
L’immagine nasce dal centro e intorno ad esso si espande, nello spazio circoscritto e protetto del cerchio, stabilendo un confine fra interno ed esterno, fino a raggiungere il “centro" e l'essenza della psiche profonda.
Il mandala per Jung ha tre funzioni : consolidare l’ordine psichico se già esistente, ristabilirlo nel caso fosse disperso o dissolto, dare espressione psichica a contenuti inconsci ancora inconsapevoli.
Molto dipende dalla forma del mandala, dalla sua simmetria e geometria, dal simbolismo delle figure incluse, tese a creare un sentimento di equilibrio e di ordine oppure rappresentare quello che potrebbe emergere nel prossimo futuro, indicando la direzione da seguire per sviluppare le potenzialità, per com-prendere i problemi e trovare le soluzioni più efficaci.
Nei sogni e successivi disegni dei suoi pazienti, Jung rileva  forme spontanee equivalenti del mandala, che sarebbe un'espressione simbolica dell’inconscio. I mandala onirici appaiono spesso in concomitanza con stati psichici di disorientamento e conflittualità. In questi casi il mandala appare come un mezzo terapeutico che si manifesta allo scopo di ridurre lo stato dissociativo, configurandosi come un archetipo dell'ordine e dell'integrazione di contenuti psichici conflittuali. In pratica il Mandala esprime simbolicamente il conflitto degli opposti e la loro riconciliazione resa possibile dall’emergere del Sé e può considerarsi un canale attraverso il quale si esprime una realtà universale il cui contatto, sebbene mediato simbolicamente, favorisce un’esperienza trasformativa della coscienza.